VABBÈ, SENTIAMO… ZOPPELLO!
Racconto completo



Trascorrevano lentamente gli ultimi minuti di un’ora di lezione come tante, e Zopp fissava il professore senza capire una sola parola di quello che diceva. Fisicamente era lì, in classe con gli occhi puntati verso la cattedra, ma la sua mente era da tutt’altra parte. Stava già pensando a cosa gli sarebbe successo quel pomeriggio: il casino del solito autobus che prendeva per tornare a casa, a Rampazzo, gli amici, le ragazze…
Suonò la campanella. Il professore interruppe la sua spiegazione, prese il materiale che si era portato appresso e salutando gli alunni se ne andò dall’aula. “Bene” pensò Zopp “anche questa è andata. Ancora un’ora e poi anche per oggi è finita.”. Si alzò dalla sedia e vagò per l’aula, senza meta, solo per sgranchirsi le gambe. Durante la sua camminata, però, sentì alcuni dei suoi compagni parlare del professore che doveva arrivare. Quando sentì quel nome Zopp rabbrividì: Lucherini, alias il professore di matematica. Gli venne subito in mente che quel giorno il docente aveva promesso di interrogare in geometria per recuperare una lezione precedentemente persa. La sua media era già abbastanza deprimente e la prospettiva di abbassarla ulteriormente non era proprio delle migliori.
Il professore tardava ad arrivare, forse avrà avuto un contrattempo, forse era andato a fumare, chissà. A Zopp non importava e non si fece sfuggire l’occasione di correre in bagno per evitare di essere chiamato al cospetto dell’insegnante. Non appena entrò nei servizi vide la figura del professore materializzarsi sul ciglio delle scale e avviarsi in B109, la classe in cui aveva lezione. Zopp si chiuse in un gabinetto e ci restò per la bellezza di cinque minuti contati sul cellulare che utilizzò per l’occasione. Aprì dunque cautamente la porta, uscì dal bagno con passo felpato e si avvicinò con molta flemma all’aula, d’altronde non aveva alcuna fretta! Entrò in classe tutto baldanzoso, soddisfatto per essersi beffato del professore con il vecchio stratagemma del ritardo intenzionale. Il suo atteggiamento trionfale, però, si affievolì fino a spegnersi completamente quando, voltatosi verso i suoi compagni, ne vide alcuni trattenersi a stento, altri scoppiare a ridere.
Il professore lo guardò e gli disse: “Zoppello, tu stai qui.”.
Non appena ebbe sentito quelle parole, a Zopp venne quasi un infarto e sbiancò di colpo. “Madonna! In geometria poi! Che qualcuno mi aiuti!”, così si avvicinò tristemente alla lavagna e prese il gessetto pensando a come poteva usufruirne per evitare quell’esecuzione capitale. Dopo aver constatato che non era abbastanza affilato per autolesionarsi, si girò verso il suo boia con un’aria da cane bastonato.
Il professore guardandolo gli disse: “Beh, cominciamo con il primo teorema di Euclide…”.
Teorema di Euclide? Zopp si chiese immediatamente chi diavolo fosse quel personaggio. Non lo aveva mai sentito nominare, probabilmente era qualche genio che pensava di risolvere problemi esistenziali passando le giornate ad enunciare teoremi di geometria. Non poteva andare a farsi un giro in bicicletta invece di rovinare la vita degli studenti? Una volta resosi conto che Euclide non avrebbe mai potuto pedalare per le strade del suo paese perché la bicicletta non esisteva ancora, Zopp si voltò verso la lavagna e la guardò, sperando che il teorema comparisse dal nulla già dimostrato. Dopo un minuto abbondante che spostava lo sguardo dal gessetto (pensava ancora a come poteva infilarselo nel cuore) alla lavagna in attesa di un supporto divino, Lucherini disse mantenendo la sua naturale calma: “Vabbè, dimmi almeno l’enunciato.”.
Se metteva in dubbio l’esistenza di Euclide, figuriamoci se sapeva enunciarne il teorema. Vista la mal parata, Zopp intensificò lo sguardo verso la lavagna, concentrandosi. Nel frattempo i suoi compagni avevano iniziato a chiacchierare allegramente dato che lo spettacolo era abbastanza macabro o noioso, a seconda dell’attaccamento all’interrogato. Dopo un altro inesorabile minuto abbondante, Lucherini si girò verso Zopp e gli disse, sconsolato: “Ok, non sai nemmeno l’enunciato. Sai almeno qualche altro teorema sull’equivalenza? Ne abbiamo visti tanti, per esempio l’equivalenza fra due parallelogrammi, fra parallelogramma e triangolo, fra triangolo e trapezio, fra triangolo e poligono circoscritto a una circonferenza… se uno dà anche una sfogliata veloce al libro ne sa almeno uno di questi… certo la sfogliata bisogna dargliela…”.
Mentre il prof elencava i teoremi uno dietro l’altro, la mente si Zopp si perdeva nell’infinito cielo oltre al soffitto della classe, oltre quello della scuola, pensando a qualsiasi cosa che non includesse la parola “teorema” o il nome di qualche genio più o meno incompreso della matematica che sinceramente avrebbe preferito evitare di conoscere.
Quando il suo esecutore finì l’elenco, oramai Zopp volteggiava leggiadramente con il pensiero nel blu, ma dovette tornare alla realtà quando si accorse che il professore aveva smesso di parlare e che nell’aula il silenzio regnava inverosimilmente sovrano. Venticinque paia d’occhi, compresi quelli dell’insegnante, lo stavano osservando da quando aveva iniziato a volare con la fantasia.
Scoppiò una fragorosa risata mista a brusio che durò per un bel po’. Nel volto di Lucherini invece era dipinta un’espressione che non era per niente allegra. Voltandosi verso gli studenti li ammonì dicendo: “Dai, fate piano.”.
La sua attenzione ritornò poi da Zopp: “Vabbè, allora, se non li sai… vediamo… dimostrami il teorema di Pitagora…”. Pitagora! Questo l’aveva sentito! Ma dove? Zopp si spremeva le meningi cercando di collegare quel nome a qualcosa… ma niente, l’ispirazione era troppo assopita quel giorno. Il professore allora andò alla lavagna e disse: “Beh, dovresti sapere già dalle medie cosa dice il teorema di Pitagora…”. Le medie! Ma certo! Alle medie! Ecco dove l’aveva già sentito! Gli tornò tutto in mente! Quindi tutto gasato provò a spiaccicare qualche parola: “Ah sì, il teorema di Pitagora dice che… che… il valore della somma delle aree dei quadrati costruiti sull’ipotenusa… no, cioè sui cateti, scusi… sui cateti di un triangolo rettangolo è uguale al valore dell’area del quadrato costruito sull’ipotenusa… sì, sull’ipotenusa… sì giusto…”.
Nonostante l’espressione sollevata e trionfale di Zopp, Lucherini non si scompose e guardandolo gli disse: “Vabbè, più o meno l’hai detto, noi però l’avremo visto come ‘Il quadrato costruito sull’ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui due cateti’.”.
“Ma che cazzo! Per una volta che so una cosa che è vagamente giusta, tientele per te le precisazioni!”, fu il pensiero di Zopp.
Il professore continuò dicendo: “Vabbè, l’enunciato lo possiamo anche dare per buono. Vediamo la dimostrazione.”.
‘Accidenti! Cosa mi invento adesso?’. Questa era la domanda ricorrente che assillava Zopp più o meno da quando gli era stato detto che doveva essere interrogato, ma ora gli martellava così intensamente il cervello che non sapeva più dove sbattere la testa. Mentre avvicinava lentamente alla lavagna il gessetto, sempre più piccolo a forza di sfregarlo nervosamente tra le dita, lanciò uno sguardo disperato alla finestra dall’altra parte della classe. Erano al secondo piano: un piccolo volo di sette metri circa con atterraggio sulla ghiaia gli avrebbe fatto saltare l’interrogazione e magari i pochi giorni che lo separavano dall’inizio delle vacanze natalizie… no, l’idea di fratturarsi tutte le costole non era molto entusiasmante, meglio tentare il tutto per tutto con quello stramaledetto Pitagora e far vedere al professore di che pasta era fatto! Con un impeto improvviso, iniziò a disegnare un triangolo rettangolo alla lavagna, mise le lettere ai vertici, segnò l’angolo retto… ma finito il disegno, la sua esuberanza crollò di colpo, poiché non sapeva più che fare. Quindi scrisse con una lentezza che anche un bradipo avrebbe giudicato terrificante le parole “Ipotesi” e “Tesi”. Oltre ai titoli non sapeva andare, così le vere e proprie ipotesi e la tesi furono dettate quasi interamente dal magnanimo Lucherini.
Sempre lentamente, scrisse anche “Dimostrazione”.
Panico completo.
Ormai la faccia di Zopp aveva passato tutti i colori primari e ora si era stabilizzata su quello che ne esprimeva forse meglio lo stato d’animo: fra lui e il gessetto c’era poca differenza, sarebbe stato l’ideale per uno spot sui detersivi! “Bianco che più bianco non si può!”.
Cominciò a riportare qualche strafalcione alla lavagna, citando tutti i teoremi possibili e immaginabili che ricordava dall’anno precedente, quando ancora pensava che la geometria non fosse poi tanto male. La classe, attenta come non mai, esplose nella seconda risata fragorosa. Lucherini si voltò e cominciò a dire, alterando leggermente il suo flemmatico modo di parlare: “Dai, fatela finita! Sto interr… sto cercando di interrogare!”. Zopp approfittò della distrazione del professore: mentre cancellava quello che aveva scritto alla lavagna, con il cancellino disegnò un gigantesco SOS. Sperava che qualche anima buona lo vedesse.
Cercò il suo salvatore tra i compagni appena richiamati al silenzio. Spostò lo sguardo su quasi tutti gli spettatori della sua ridicola esibizione culturale. Si soffermò molto su una compagna in prima fila, Laura Sanson. Nonostante il momento critico, si fece catturare ugualmente dalla maglietta scollatissima che indossava quel giorno, soprattutto dalle dolci curve al suo interno che grazie alla sua imponente altezza riusciva a intravedere. Purtroppo non era certo la persona in grado di aiutarlo in quel delicato momento, la sua media era addirittura più bassa di quella di Zopp. Quando ormai le sue speranze erano sul filo del rasoio, però, per fargli levare lo sguardo da dove lo aveva posato, Laura gli mostrò il libro di geometria aperto sulla pagina relativa al teorema di Pitagora. Per tutta risposta, Zopp annuì e cancellò l’SOS alla lavagna.
Quando Lucherini ebbe finito di minacciare la classe, si girò nuovamente verso Zopp dicendogli: “Vabbè, proviamo almeno a dimostrarlo… seriamente questa volta.”. Zopp ridisegnò il triangolo rettangolo e riscrisse le cose precedentemente suggeritegli dall’insegnante. “Adesso mi concentro e ce la faccio. Adesso ce la faccio. Devo farcela!”. Così iniziò a scrivere. La classe, visto che Zopp si stava impegnando seriamente, decise quasi all’unisono che non valeva la pena di seguire l’interrogazione. Non ci sarebbero più state occasioni per ridere sadicamente a scapito dell’interrogato. Ognuno cominciò così a farsi gli affari suoi e la situazione degenerò abbastanza da far andare totalmente su tutte le furie il professore.
Gli studenti conoscevano bene il carattere del loro docente di matematica: per esprimere il suo dissenso riguardo il loro comportamento era solito riprenderli con frasi inizianti per il ‘Dai’ che solo lui sapeva dire così enfaticamente. Ma quando arrivava al terzo ‘Dai’ cominciavano i problemi. In quella lezione i primi due erano già stati giocati. I bonus erano finiti. Sempre mantenendo il suo caratteristico self-control, si avvicinò all’ultima fila di banchi e cominciò a mietere vittima su vittima: “Visto che voi fate quello che volete, lo faccio pure io.”. Cominciò dal primo a sinistra a fare una specie di malefica conta: “Tu là in fondo, sai dove siamo arrivati? No? Vabbè, uno. Tu accanto, lo sai? No? Vabbè, due: en bè, uno più uno fa due! Tu? Niente? Tre: uno più uno più uno fa tre!…”. E mentre Lucherini rovinava la media di buona parte della classe dando il voto più basso possibile ai suoi componenti, Zopp guardò istintivamente Laura. Lei gli mise sotto gli occhi la dimostrazione del teorema. Pregò contro i compagni che lo avevano deriso fino a quel momento che il professore continuasse a mettere i suoi inesorabili “uno” e che quindi non si accorgesse dell’aiuto ricevuto. Cominciò a copiare alla lavagna sotto “Dimostrazione” quanto descritto nel libro.
Quando Lucherini si reputò soddisfatto della lezione inferta agli studenti, Zopp era già a buon punto. Guardò la lavagna, fece un abbozzo di sorriso e disse: “Vabbè, vai avanti.” A mano a mano che Zopp proseguiva con la dimostrazione, constatando che stava facendo tutto correttamente, sentiva dentro di sé il canto di un coro angelico crescere di intensità, una sensazione di onnipotenza e soddisfazione totale. Quando ebbe finito la dimostrazione, perfetta, del teorema d Pitagora, Lucherini decise di terminare la tortura. Prese la sua penna preferita dall’astuccio d’antiquariato in legno che si porta sempre appresso. In quel momento, tutto si fermò. Esistevano solo Zopp, il professore, la penna, il registro e la lavagna con il teorema dimostrato. “Che voto mi darà mai?”, pensava. Era riuscito a dimostrare solo un teorema di quelli che gli aveva chiesto e, conoscendo Lucherini, di sicuro aveva capito che aveva ricevuto l’unica dimostrazione corretta in qualche modo. Per lui era finita. Aveva ancora il gessetto in mano, ma era troppo piccolo: non poteva soffocarsi ingoiandolo.
Lucherini si tolse gli occhiali: “Beh, abbiamo iniziato male, Zoppello. Non sapevi nemmeno gli enunciati dei teoremi, riguardati quella parte lì, ecco. Ti sei salvato un po’ con il teorema di Pitagora, però è un po’ poco…”. Non aggiungendo altro, si rimise gli occhiali, prese il registro e vi appoggiò la penna. Oramai Zopp non sentiva più nulla. Tutti i suoni erano occultati dal battito del suo cuore che a quel punto aveva raggiunto l’intensità di un mitragliatore.
Il professore aveva scritto la sentenza. Quando tolse la mano, Zopp lesse il voto che si era “meritato”: 5. Si sentì sollevato: per quello che aveva fatto era anche troppo. Lucherini gli aveva fatto, nel suo piccolo, un bel regalo di Natale.



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3 commenti:

  1. grandi il racconto è molto bello...continuate cosi! mi è piaciuto veramente tanto! bravi bravi
    Giovanni Munaretto

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  2. anke qua raga grandiximi!magari ci fossero lezioni del genere anke nella realtà!grandiximi!be bisognava aspettarselo dopo qll ke avete scritto nel 1°!

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  3. Grazie mille MichaelK, siamo contenti che questi primi racconti ti siano piaciuti! Aspettiamo le tue considerazioni in merito anche al nostro ultimo lavoro :)
    Se vuoi consigliaci anche ai tuoi amici, che un po' di pubblicità non ci fa certo male XD!!!

    L'ALLEANZA

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