PER QUEL PAIO DI CORNA
Racconto completo

CAPITOLO 1


Pseudo-Paradiso…




Il suono della campanella si diffuse nei corridoi silenziosi del liceo scandendo la fine delle lezioni.
Il professor Eugenio Fumaghieri uscì allegro dalla sala insegnanti insieme ai suoi colleghi, ma non era felice solamente per aver terminato una dura giornata lavorativa. Era gasatissimo perché quella sera l’avrebbe trascorsa tutta con Laura.
Ormai erano passati molti anni da quando si era sposato, e con l’inesorabile passare del tempo la passione nei confronti della moglie si era affievolita.
Era convinto che non avrebbe avuto problemi a nascondere la sua scappatella: a un professore di lettere come lui buona parlantina e ottima capacità di linguaggio non mancavano di certo! Era totalmente esaltato, forse peggio di tutta quella ciurmaglia adolescente con cui viveva a stretto contatto e a cui tentava di inculcare nozioni su grammatica e letteratura, spesso non riuscendoci.
Salì in macchina con fare baldanzoso e uscì dal parcheggio della scuola diretto verso la casa della sua amante. Nel frattempo aveva già pensato a cosa dire a sua moglie: ‘Stasera farò tardi, amore. Ho un collegio docenti devastante e non so che ora farò. Non aspettarmi per cena, mangerò un boccone da qualche parte con i miei colleghi e poi tornerò a casa. Vai pure a letto senza di me…’. Così la chiamò con il cellulare e recitò la sua parte: la sua dolce metà se la bevve come previsto. ‘Sono un vero e proprio diavolo!’ pensò tra sé Eugenio.

Dopo la stupenda serata passata con Laura, si avviò verso casa ma si accorse che era in un ritardo spaventoso. Si lanciò a manetta con la sua Fiat Panda per la strada e, mentre con un mano teneva il volante, con l’altra si sistemava il nodo della cravatta e la camicia: vista l’ora che si era fatta si era lanciato letteralmente fuori dall’appartamento della sua “amichetta” così com’era, vestendosi per metà sulle scale e per metà salendo in auto. Arrivato a casa, aperta la porta d’entrata, stava per accendere la luce che quasi gli venne un colpo: vide la sagoma di sua moglie ancora sveglia che lo stava aspettando. “Mai visti collegi docenti che durano fino a mezzanotte, caro…”.
Breve momento di panico.
Caricandosi di una buona dose di faccia tosta le rispose: “Quel mattacchione di Lerani, quello di matematica, mi ha convinto ad andare in un posto di sua conoscenza dove si mangia veramente bene. Solo che era veramente molto lontano e ho bevuto anche un paio di bicchierini in sua compagnia e così ho aspettato un po’ prima di mettermi alla guida… ho fatto tardi per questo amore, mi dispiace…”. “Sì, sì…” gli rispose e se ne andò a letto. Fece finta di comprendere, ma le era rimasta la puzza sotto il naso. Eugenio la seguì e si infilò sotto le coperte.
Si era già addormentato quando il telefono squillò segnalandogli un nuovo messaggio ricevuto. Mezzo assonnato lo aprì e lesse il mittente: Laura. Il messaggio diceva: ‘Tesoruccio, hai dimenticato la tua borsa a casa mia, vieni a prendertela, così possiamo stare ancora un po’ insieme…’. Eugenio non voleva assolutamente che sua moglie si accorgesse della grave dimenticanza e visto che lei era già caduta in un sonno profondo, vestitosi alla meglio si avviò fuori dalla porta di casa. Non appena fu in strada, però, sotto i suoi piedi si aprì una voragine gigantesca ed Eugenio vi cadde dentro, sprofondando nell’oscurità.



CAPITOLO 2


Inferno!!!




Buio totale. Questa era l’unica cosa che vedeva Eugenio intorno a sé e ciò che gli faceva capire di essere ancora vivo era la sensazione di precipitare. Cadde in quel baratro oscuro per una quantità indefinita di tempo fino a quando qualcosa arrestò la sua caduta. Evidentemente quell’infinito pozzo non era poi così infinito… ed il fondo era anche abbastanza morbido! Non appena toccò terra, sentì qualcuno strillare: “Ahia! Perdiana, che accade? Fialte, m’hai di nuovo pestato un piede?!”. Nonostante fosse abbastanza frastornato, Eugenio riuscì a scorgere delle figure enormi in una sorta di penombra e mentre cercava di riprendere completamente i sensi sentì colui che doveva essere Fialte rispondere: “Ma se sono lontanissimo da te, sciagurato! Conoscendoti, ti sarai pestato il piede da solo!”. Un’altra voce rimbombò dall’oscurità: “Fialte, Anteo, fate poco casino! Non dobbiamo distrarci, altrimenti quel maledetto Virgilio ci passerà di nuovo sotto il naso trascinandosi appresso un qualche altro mortale!”. “Fatti gli affari tuoi Briareo, noi siamo attentissimi!”. I due giganti continuarono a discutere su chi avesse pestato il piede a chi ed Eugenio prese l’occasione al balzo e si defilò il più rapidamente possibile da lì per non rischiare di venir coinvolto anche lui nella disputa.
Passando sotto le gambe del gigantesco Anteo, si allontanò ma con in testa il pensiero di aver già sentito quei nomi da qualche parte. Dopo poco, però, cadde nuovamente e cominciò a scivolare lungo un pendio. Contrariamente al precedente burrone, stavolta la discesa fu di breve durata. Eugenio cercò di rialzarsi ma continuava a scivolare: non si era accorto che era finito su un’immensa distesa di ghiaccio! Questa situazione gli ricordò la prima volta che era andato a pattinare sul ghiaccio… a lui non piaceva, ma quella donna che pochi anni dopo sarebbe diventata sua moglie lo aveva convinto a provare. Quel giorno cadde almeno una cinquantina di volte e ogni volta sua moglie era andata da lui per aiutarlo a tornare in piedi. In quel preciso momento, ancora sdraiato sopra la lastra di ghiaccio, Eugenio fu preso da una fortissima nostalgia per sua moglie... Lentamente e con fatica riuscì a tirarsi in piedi e a muovere timidamente qualche passo in avanti. Camminare in costante penombra, scivolando tre volte sì e una no, non era certo una passeggiata. Dopo solo qualche metro era così stanco che non appena vide un protuberanza nel ghiaccio simile a uno di quei ceppi che si trovano nei boschi, vi si sedette sopra. Si adagiò, ma improvvisamente dal blocco partì un urlo e così Eugenio si alzò di colpo finendo nuovamente a terra. Sollevatosi, vide che la “cosa” su cui si era seduto era in realtà la testa di un uomo il cui corpo era immerso nel ghiaccio fino al collo. Sentì poi una risata sardonica dietro di sé e una voce dal ghiaccio che gli disse: “Per quel che ne vale, potevi anche startene seduto sopra, giovanotto! Quella testa bacata merita di essere usata solo come scranno!”. Quindi, la testa rispose: “Ma stai zitto, pezzo di idiota! Sarebbero queste le parole da usare contro un proprio congiunto?!”. “Congiunto? Tu saresti un mio congiunto? Tu che hai ripudiato l’autorità divina del papa per quella di un imperatorucolo dei miei genitali!”.
Eugenio non riusciva a star dietro a quel discorso e stanco di non capirci niente si intromise nella sempre più accesa disputa dei due chiedendo: “Scusate ma… con chi ho l’onore di… parlare?”. L’attenzione dei due litiganti si concentrò su quel forestiero e la testa su cui si era seduto si presentò: “Io sono Napoleone Alberti, figlio del conte Alberto V e servo leale del Sacro Romano Impero…”. Alle parole ‘Sacro Romano Impero’ l’altra testa affiorante dal ghiaccio iniziò a borbottare enfaticamente. La bocca di Napoleone si contrasse in una smorfia di disgusto, ma proseguì senza ribattere: “…mentre quello che attualmente non riesce a trattenersi dall’esprimere il suo dissenso è Alessandro Alberti, e sarebbe mio fratello, ma non lo considero più tale da quando è diventato un leccapiedi del papa...”. A quelle parole Alessandro iniziò a inveire contro il fratello: “Infedele! Eretico!” e Napoleone ribadì: “Traditore! Infame!”.
I due fratelli ignorarono nuovamente il povero Eugenio al quale, anche in questo caso, i nomi delle due teste emergenti dal ghiaccio non gli erano nuovi; era tremendamente sicuro, come nel caso di Anteo, Fialte e Briareo di averli già sentiti, ma non ricordava dove. Per il momento aveva altri problemi: doveva capire sia dove fosse, sia come andarsene da lì. Per cui tentò di carpire qualche informazione dai due fratelli, ma ormai erano troppo presi dalle loro dispute per dargli retta. Dopo l’ennesima volta che tentava di chiedere quelle due preziose informazioni e l’ennesima volta che veniva ignorato, Eugenio perse letteralmente le staffe: “SENTITE! Non ho tempo da perdere con i fatti vostri! Non ho la minima idea di dove sia capitato e di come possa andarmene! Quindi per cortesia ditemi quello che voglio sapere, dopo di che potete continuare ad insultarvi come più vi piace!”. I due fratelli si decisero a dargli retta e Alessandro gli rispose: “Messere, qui lei è nell’Inferno e, che io sappia, non vi è modo per andarsene. Solo una volta un certo… Dante ci riuscì, almeno mi pare si chiamasse così; ma solo perché era raccomandato da qualcuno in alto… molto in alto...”.
Incupito, sconvolto e stralunato dalla novità, si allontanò dai due fratelli, che ripreso a dirsi di tutto contro.
Quelle scenate gli avevano fatto tornare in mente tutte le volte che aveva discusso con sua moglie… e tutte le volte che si erano poi riappacificati. Eugenio litigava spesso con gli altri, gli veniva quasi spontaneo, forse per la sua attitudine a voler avere sempre ragione e l’ultima parola. A causa di questo atteggiamento ci rimetteva parecchio, infatti le persone che riuscivano a sopportarlo poteva contarle sulle dita di una mano e tra queste c’era la moglie, colei che aveva tradito solamente qualche ora prima a casa di una certa Laura, e ora cominciava a pentirsene...
Più ci pensava, più non gli pareva logico ciò che era accaduto: per un suo capriccio aveva tradito una persona così vicina a lui, che l’aveva sempre sostenuto da quando si erano conosciuti. Così, immerso in questi pensieri, la sensazione di paura e smarrimento che aveva provato venendo a conoscenza di trovarsi nell’Inferno veniva sostituita dalla consapevolezza che quel posto gli calzasse a pennello.
Mentre era assorto nelle sue considerazioni, udì delle voci nell’oscurità: “Quei due dannati litigiosi dicevano che era andato di qua!”. “Te l’avevo detto che c’era qualcuno qui sotto!”.
Contemporaneamente a quel vociare, che ad Eugenio non suonava affatto nuovo, sentì anche un rumore tremendo di passi in rapido avvicinamento. Poco dopo si materializzarono alle sue spalle due immense sagome scure e capì che quelli dovevano essere Anteo e Fialte, i due giganti che aveva incontrato non appena era finito nell’Inferno. Poco desideroso di sapere cosa volessero da lui cercò di accelerare il passo, ma il ghiaccio gli giocò l’ennesimo brutto tiro ed Eugenio cominciò a scivolare, scivolare, scivolare…
Ad un certo punto un ostacolo lo bloccò violentemente. Dopo essersi ripreso dallo schianto, analizzò la strana “parete” contro cui aveva sbattuto… e scoprì che quel muro aveva i tratti somatici di un deretano. Il ribrezzo nella faccia di Eugenio durò poco perché quell’immenso fondoschiena girò su se stesso e una gigantesca mano lo afferrò e lo tirò su, cosicché si ritrovò faccia a faccia con un altro gigante, molto più enorme di Anteo e Fialte. Dopo qualche istante di contemplazione, il gigantesco essere esclamò con fare cerimonioso: “Mortale, dopo averti esaminato attentamente mi risulta che tu sia sposato, e giudicando la donna con cui hai messo le corna a tua moglie ne deduco che hai una certa passione per il corpo femminile... perché dunque mi vieni incontro per le terga?!”. “B-Beh… i-io… ve-ve-veramente… n-non era ce-certo mia i-i-intenzione…”. “Non importa. Ciò non toglie che hai commesso uno dei peggiori peccati di questo mondo, hai tradito un tuo familiare. E questo non va affatto bene… no, no, NO! Non va bene! Dopo tutto quello che hai studiato di letteratura nella tua misera vita mortale, non hai letto quello che racconta quel Dante nei suoi viaggi in questo posto?! Non hai imparato nulla di quello che accade a chi si comporta male?! Di come viene punito un traditore come te da Lucifero, quell’essere geniale che modestamente sarei io?! Bene, dalla tua espressione vedo che non mi avevi riconosciuto… male Fumaghieri, molto male!!!”. Il gigante soffocò alcuni colpi di tosse e dopo alcuni respiri profondi, riprese a parlare con voce flemmatica: “Ti sarà riservato il trattamento dovuto a chi ha il cuore così freddo da riuscire a tradire i propri cari ed avere la faccia tosta di comportarsi come se non fosse successo nulla… in più, siccome non hai riconosciuto quell’illustrissimo personaggio di Lucifero, che in fondo sarei sempre io, mi tocca punirti ulteriormente, mi capisci? Quindi ho deciso che sarai immerso nel ghiaccio tranne che per le orecchie… e sconterai la tua infinita pena in mezzo agli Alberti!!!”.
Alla sentenza di Lucifero, soprattutto sentendo che avrebbe dovuto stare a sentire i battibecchi di quei due dannati fratelli per il resto della sua vita, Eugenio sbiancò di colpo e il terrore lo invase da capo a piedi. Un istante dopo, il gigantesco essere sciolse la presa e lo fece precipitare verso terra, anzi verso ghiaccio. Il traditore, seppur pentito, sprofondò nell’oscurità, accompagnato dalla risata malefica di Lucifero.





CAPITOLO 3


Purgatorio?







“NOOO!!! Risparmiami Lucifero, sono pentito!!!”.
Eugenio aprì gli occhi di colpo e si ritrovò sul letto di casa sua, tutto sudato, in preda ad un’angoscia terribile. Evidentemente era stato solo tutto un sogno. La sua coscienza gli aveva giocato un brutto scherzo, facendolo finire nel nono girone infernale dove vengono puniti i traditori come lui.
Guardò alla sua destra: la moglie si era svegliata sentendo l’urlo disperato del marito e lo guardava come per capire il motivo di quello sgomento: era ancora lì con lui, pronta a rincuorarlo… come in tutti quegli anni di matrimonio. E lui aveva tradito quella sua fedeltà.
Quel sogno gli aveva chiarito molte cose, soprattutto gli aveva fatto capire come fosse stato un verme quella sera stessa. Per scrupolo controllò il cellulare e vide non un messaggio ma una chiamata persa: era di Laura. Con una smorfia di ribrezzo cancellò prima la chiamata persa e poi il numero dell’amante. “Amore, tutto bene?” gli chiese la moglie preoccupata. Eugenio le rispose abbozzando un sorriso: “Sì amore, non ti preoccupare. È stato solo un brutto sogno… niente più di un brutto sogno… Ti amo.”. Quindi poggiò il cellulare sul comodino e tornò a dormire, stringendo forte a sé la sua dolce e, ora, unica metà.



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