L’amore ritrovato

CAPITOLO 9



MiG dell'aviazione algerina


Alex si svegliò di colpo dal suo stato di trance, preso da forte sensazione di nausea. Si accorse che qualcuno lo stava portando in spalla come se fosse un sacco di patate. Si guardò intorno per capire dove si trovasse, ma la vista era ancora offuscata. Riuscì a malapena a scorgere un altro criminale con un fucile d’assalto accanto a quello che lo stava portando, e dietro di lui un uomo dalla camminata tranquilla che indossava uno smoking bianco. In lontananza si poteva captare un rumore ovattato di spari che Alex non poteva sentire perché la sostanza drogante gli aveva affievolito anche l’udito. Usciti dal bunker, il ragazzo avvertì su di sé il soffocante calore del deserto. Il boss dell’organizzazione invece continuava ad avanzare con il suo passo flemmatico, come se non avvertisse l’afa tremenda di quel luogo. Si sentì il rumore di rotori in avvicinamento: un elicottero privo di identificazione stava arrivando. Alex chiuse gli occhi. Rassegnato pensò: “Questa è davvero la fine.”. Avrebbe preferito di gran lunga essere pestato dai bulli del Moreton, come ai vecchi tempi, che venire separato dalle persone che amava in quel modo. L’uomo in smoking si fermò, guardò il suo prezioso orologio da polso e disse compiaciuto: “Perfetto.”. Il suo stato emotivo, però, durò per poco: mentre l’elicottero stava entrando in fase di atterraggio, un missile lo colpì sulla parte posteriore. Il velivolo andò in stallo e precipitò, esplodendo poco dopo essersi schiantato al suolo. Sopra di loro, velocissimi, passarono due caccia, probabilmente algerini. “Cazzo! Non ci voleva: sono dei MiG. Siamo bloccati qui, non abbiamo vie di fuga.”. Fece appena in tempo a terminare la frase, che fu falciato da una scarica di mitragliatrice e si accartocciò sulla sabbia cocente. L’energumeno ch sorreggeva Alex, invece, venne colpito alle gambe. Cadde dal dolore, liberando il ragazzo dalla presa. Alex colse l’occasione al volo, dopo un momento di smarrimento causato nuovamente da quella maledetta sostanza drogante, corse cercando di allontanarsi il più possibile. Inciampò, e vide davanti al suo naso degli scarponi militari. Alzò lo sguardo: era l’agente John Harris. Questi guardò il ragazzo ai suoi piedi, con un cenno del capo gli fece capire che era finalmente al sicuro, e puntò l’arma contro il tizio di biancovestito. “Ti dichiaro in arresto in nome del governo americano per omicidio ed associazione a delinquere!”, gli urlò. L’altro, non rinunciando comunque a tenere un’espressione strafottente e di superiorità, si inginocchiò alzando le mani. Gettò la pistola a qualche metro da lui, consapevole che la sua corsa finiva in quel luogo desolato. John gli si avvicinò e lo guardò dritto negli occhi. “Bene, fine dei convenevoli, damerino!”. Lo colpì in pieno volto con il calcio del Kalashnikov, non poteva sopportare un secondo di più quell’espressione irriverente. Poco dopo arrivò il VTOL che li aveva trasportati fino alla costa mediterranea dell’Algeria. I marines che erano usciti sani e salvi dal bunker assieme all’agente Harris caricarono a bordo il boss degli uomini in nero e Alex, quindi decollarono. Atterrarono, dopo la sosta a Mascara-Ghriss, sulla USS Abraham Lincoln. Alex si era ormai completamente ripreso. Quando uscì dal velivolo, l’ammiraglio Morrison lo salutò e gli disse di recarsi in cabina di comando.
Entrò con John e vi trovò i genitori, suo fratello Brian, William e... Christine? Come faceva Christine a trovarsi lì? E soprattutto come faceva ad essere viva? Lei gli saltò addosso e lo abbracciò forte, Alex si mise a piangere dalla felicità. Aveva ritrovato tutti: faceva fatica a capacitarsene, visto che fino a qualche ora prima pensava di averli persi definitivamente. Quando l’agitazione generale si affievolì, il padre di Alex prese in disparte lui, Christine e William e disse loro: “Ora che siamo nuovamente tutti insieme, mi sembra giunto il momento di spiegarvi ogni cosa. Quello che sto per dirvi vi farà capire molti avvenimenti: il motivo per cui quell’organizzazione è interessata a te, Alex; perchè non sei morta, Christine…”. Prese fiato e cominciò a raccontare: “Quindici anni fa, durante alcuni nostri scavi proprio in Algeria, abbiamo rinvenuto un meteorite. Dagli esami effettuati nei laboratori della NASA, è stato rinvenuto molto DNA al suo interno, così in abbondanza da poter compiere altre numerose ricerche. Da alcuni esperimenti emerse che aveva speciali doti curative, ma non vi era niente di accertato. La prova siete stati voi due, figlioli. Quando queste informazioni riguardanti il DNA alieno ci giunsero, tua madre era incinta di te, Alex. Quella testarda non volle tornare a casa per stare tranquilla in maternità, ma lavorò nel sito archeologico fino al giorno della tua nascita. Proprio durante il parto, però, qualcosa andò storto. Non saresti sopravvissuto. Tutto a causa di alcune malformazioni nel tuo DNA, causate probabilmente dal meteorite stesso. Una volta tagliato il cordone ombelicale, il sangue continuava a colare lentamente ma inesorabilmente al di fuori del tuo corpo. L’emorragia non dava segni di arresto. Tua madre ed io dovemmo decidere velocemente il da farsi. In quell’ambulatorio sperduto non vi erano né le apparecchiature né i medicinali utili al caso, ma io avevo portato con me un campione di quel DNA. Tentammo il tutto per tutto: alcuni scienziati trapiantarono il campione nel tuo sistema centrale e riuscirono a modificare il tuo impianto genetico appena in tempo. L’operazione era durata a lungo, stavi quasi per esaurire tutto il sangue all’interno del tuo corpo, ma miracolosamente riuscisti a sopravvivere. Facevo fatica a crederci, avevo ormai perso tutte le speranze: non perdevi più sangue e tutti i valori si erano normalizzati. Un’altra donna incinta era venuta in contatto con il meteorite. Sto parlando di tua moglie, William. Faceva parte dello staff di ricercatori che aveva effettuato le prime analisi. Quando partorì, la piccola Christine aveva gli stessi tuoi sintomi, Alex. La salvammo nella stessa maniera.”. Il padre di Alex fece una breve pausa. “Non sappiamo dove sia finito il resto di quel DNA. È misteriosamente sparito. Non possiamo quindi prevedere che altri effetti possa avere nei vostri corpi. A giudicare da ciò che è accaduto nel momento dei due parti e a te Christine in queste ultime ventiquattr’ore, direi che il vostro corpo è in grado di rigenerarsi. Chissà poi che altri poteri potreste mai possedere.”. I tre ascoltatori erano esterrefatti. Fu Christine a prendere la parola: “Chi erano quegli uomini che volevano rapire Alex?”. “Il capo dell’organizzazione, quello vestito di bianco, era il finanziatore dei nostri scavi. Aveva scoperto qualcosa su alcuni manoscritti antichi ritrovati in Algeria riguardanti i poteri strabilianti di un oggetto che aveva la capacità di distruggere le future generazioni e, in alcuni casi, di uccidere i viventi. Quell’oggetto si era rivelato essere il meteorite. Lo voleva per poterlo vendere a qualche stato belligerante con l’intento di creare armi batteriologiche di nuova concezione; ma quando la CIA ha scoperto le sue intenzioni, ha convinto il governo algerino a toglierli la licenza degli scavi per consegnare il controllo agli americani. Non si sa come ma scoprì che il DNA alieno era stato impiantato su due esseri viventi, voi, e così creò l’organizzazione degli “uomini in nero” al fine di rapirvi per potervi analizzare. Avrebbe potuto creare un esercito immortale se fosse riuscito nella sua impresa. Questi sono i fatti. Fortunatamente, non avrà più questa opportunità, ma non penso sia il solo a sapere del potere del DNA. Ora torneremo a vivere negli USA, cambieremo identità e saremo sotto la protezione dello Zio Sam.”. Quando il padre di Alex terminò di parlare, entrò l’ammiraglio Morrison. Annunciò che l’Osprey era pronto a riportarli in America. Mentre si avviavano verso la pista di lancio, William si avvicinò ai due ragazzi e disse: “Questa prima minaccia è finita, non serve più che stia in Inghilterra, anche perché la mia casa non esiste più. Tornerò anch’io negli USA. Alex, molto probabilmente, per controllarci meglio, ci faranno vivere nello stesso paese. Ne sei contento? Potrai venire a far visita a me e Christine ogniqualvolta lo vorrai.”. Al sentire queste parole, Alex fu felicissimo: poteva stare a contatto con le persone che gli volevano bene, e soprattutto con la ragazza che amava! Si avvicinò a Christine e le sussurrò: “Hai sentito? Staremo ancora insieme!”. Lei annuì, le lacrime bagnavano le sue guance. Alex le sollevò dolcemente il viso e la baciò. Lei guardandolo negli occhi gli disse: “Noi staremo sempre insieme, nessuno riuscirà mai a separarci!”.


Alex & Christine



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