Oltre la realtà

CAPITOLO 8



Bunker nel deserto Sahara


Alex era confuso, stordito, e non aveva idea di dove si trovasse. Subito dopo aver visto Christine accasciarsi a terra senza vita, aveva perso i sensi.
Oltre a non sapere dove fosse, non aveva nemmeno la minima idea di quanto tempo fosse passato da quando lo avevano rapito. Tentò di alzarsi in piedi, ma le gambe non lo sorressero. Aveva anche la vista annebbiata: quei criminali dovevano averlo drogato con una qualche sostanza stordente. Dovette sdraiarsi nuovamente. Ripensò alla morte della ragazza, e si sentì amareggiato dalla sua impotenza: era appena deceduta l’unica persona che avesse mai amato.
I membri dell’organizzazione avevano tenuto come ostaggio solamente lui. Gli altri li avevano lasciati in mezzo al deserto senza armi ed equipaggiamento.
William era accanto al corpo di Christine. In una mano teneva ancora il proiettile che aveva strappato la vita alla sua piccola. L’aveva estratto poco dopo l’omicidio, aveva anche tentato di bloccare l’emorragia, ma ormai era tutto inutile. Harris e i marines sfuggiti agli uomini in nero riuscirono a riattivare la radio della jeep e a chiamare i soccorsi. Quando arrivarono i medici, all’alba del giorno seguente, notarono, però, una stranezza nel corpo della ragazza: la ferita era sicuramente profonda, ma non molto larga. Secondo il loro parere, un proiettile come quello non avrebbe lasciato un foro così piccolo. William confrontò le dimensioni dell’oggetto metallico che aveva recuperato dal cadavere con quelle della ferita sul corpo della figlia. Era incredibile: il foro si stava lentamente chiudendo. Un medico mise una mano sulla fronte della ragazza: “Non ci avevo nemmeno fatto caso: nonostante siano passate diverse ore dalla morte, il corpo è ancora caldo.”. Mentre nessuno si capacitava di quello che stava succedendo, Christine tossì sputando una modesta quantità di sangue. Il suo cuore aveva ripreso a battere! Mentre i medici erano sconcertati da questa specie di resurrezione, a William ciò che importava era che sua figlia fosse ancora al mondo. Nel frattempo era arrivata anche una squadra di soccorso che si era messa a riparare la jeep. Harris, intanto, discuteva con un ufficiale in merito alle operazioni militari contro gli uomini in nero. I nemici erano stati sconfitti e i pochi superstiti erano stati catturati e sottoposti a interrogatorio. Degli archeologi ostaggi, però, non vi era traccia. Li avevano trasferiti da qualche altra parte prima dell’arrivo dell’esercito. Harris si recò da William per aggiornarlo dei fatti. Dopo un attimo di smarrimento nel vedere la ragazza viva e vegeta, si riprese e raccontò le novità all’amico. Nonostante le sue obiezioni, gli dovette ordinare di tornare a Tlemcen con la figlia, Brian e la squadra medica.
Finito di riparare la Wrangler YJ, Harris vi salì e ripartì con i marines e con le armi che la squadra di soccorso era riuscita a portare con sé. Si erano aggiunti alla missione anche alcuni uomini del posto. Si diressero verso il luogo dove, secondo le informazioni dell’ufficiale governativo, si erano rifugiati gli ultimi nemici.
Questa volta non avrebbero temporeggiato: avevano l’ordine di uccidere chiunque gli impedisse di salvare archeologi e ragazzo. Harris, dopo aver assistito alla scena dell’omicidio della figlia del suo migliore amico, che chissà grazie a quale miracolo era ancora in vita, aveva come non mai la voglia di rispettare alla lettera i comandi.
Raggiunsero il luogo indicato e scesero a terra. Come previsto, all’ingresso di un bunker, c’erano alcuni uomini di guardia che, appena videro i soldati avvicinarsi, tentarono di alzare le armi, ma furono falciati dalle raffiche degli AK-47. Neutralizzate le difese esterne, fecero saltare la porta corazzata del bunker con dell’esplosivo C4. Lanciarono poi all’interno una granata stordente e dopo l’esplosione di quest’ultima fecero irruzione. Gli uomini all’interno non riuscirono a reagire per gli effetti della granata e i militari li uccisero senza alcuna pietà. Si fecero strada per ogni livello sotterraneo del bunker seguendo la stessa strategia a ogni nuovo piano: stordente e poi via a massacrare i nemici con i fucili d’assalto. Arrivarono al luogo dove erano tenuti i prigionieri ed eliminarono la resistenza. All’interno della stanza adibita a prigione vi era lo stesso individuo che aveva “ucciso” Christine con i suoi due ultimi uomini. Tenevano in ostaggio i genitori di Alex e Alex stesso, semi-incosciente a causa della droga che gli era stata somministrata. “Non avvicinatevi di un altro passo!” urlò. Dalla voce tremante e dagli occhi terrorizzati si capiva che era rimasto spiazzato dalla facilità con cui Harris e gli altri soldati avevano neutralizzato i suoi scagnozzi. “Giuro che li ammazziamo!”. Tolse la sicura alla sua pistola e la puntò ancora più a fondo sulla tempia di Alex. John aveva il Kalashnikov puntato sull’uomo, ma non osava sparare: la missione non era uccidere quel maledetto, ma salvare gli ostaggi. Questa posizione di stallo sarebbe andata avanti all’infinito se non fosse stato per un proiettile proveniente da dietro la squadra capitanata da Harris che colpì il tizio che minacciava Alex dritto in mezzo alla fronte. L’agente dell’NSA vide con la coda dell’occhio un uomo alle sue spalle, di cui però non distingueva i lineamenti del volto. La pistola che aveva in mano, invece, la notò eccome: stava ancora fumando dopo il colpo appena sparato.
Con lui c’erano altri soldati: in situazioni normali non ci sarebbero stati problemi, il battaglione di John era in netta superiorità numerica; ma qui c’erano ostaggi da proteggere. Colui che probabilmente era il boss dell’organizzazione avanzò lentamente e ordinò a uno dei suoi di prendere Alex. “Ti avevo pagato per catturare questo ragazzo e per portarlo da me, non per ucciderlo, idiota.” disse rivolgendosi al cadavere dell’uomo che aveva appena freddato. Tranquillamente com’era entrato, se ne andò dalla porta della prigione, scortato solo dal soldato che teneva sulle spalle Alex. Prima di andarsene ordinò infine ai due uomini che ancora tenevano in ostaggio gli archeologi di lasciarli andare. Harris analizzò la situazione: si trovava con davanti due e alle spalle un numero imprecisato di nemici che tagliavano la via di fuga a lui e ai suoi uomini. Scrutò le facce dei suoi compagni. Un ghigno gli venne spontaneo. Pensò: “Questi sono i momenti in cui sono felice di aver scelto di indossare questa divisa!”. Chiuse gli occhi un momento, prese un lungo respiro. Il silenzio nella stanza era quasi palpabile. Nessuno si muoveva. John riaprì gli occhi, si girò di scatto e con una ferocia spartana aprì il fuoco.



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